Nell’immaginario
– un tantino estremo e distorto – del tifoso laziale medio, c’è oggi un
tale Gravina, attuale presidente della Figc, che telefona a tale Rocchi,
designatore arbitrale del calcio, e gli consiglia, mafiosamente parlando, di
mirare ad alzo zero (quest’anno o come sempre) sul suo grande nemico, tale
Lotito, presidente della SS Lazio. Vendetta bieca di politicante, lo sport
falsificato dal poltronificio. Il campo usato come tribunale.
Ecco che il messaggio, transitando per i giusti cellulari, o magari per
semplice “pizzino”, arriva prima al guardalinee di Udine che alza la bandierina
e confonde ulteriormente i già confusi difensori laziali; e poi all’arbitro di
Firenze e ai suoi fidi “varisti” che, perfettamente ligi al compito assegnatogli,
i ben quattro episodi controversi nelle rispettive aree li giudicano tutti a
favore dei padroni di casa. Decidendo di fatto l’esito del match. Il tale
Rocchi ne sarà contento, è pure fiorentino: ma questa la riportiamo solo per
cronaca, è illazione troppo maliziosa per darle seguito.
Perdonerete l’approccio canzonatorio. Ma raccontate così, le due sconfitte
della Lazio, sembrano film di fantascienza degli anni ’50, a tratti inverosimili.
…Perché la realtà invece supera spesso la fantasia.
E la questione arbitrale, per quanto riguarda la Lazio, è aperta da un
centinaio di anni. O poco meno. Non c’entra Lotito, non c’entrano i Gravina o i
Rocchi, né i Marcenaro o gli Abisso.
La Lazio è sola dal 1927, questo lo capireste tutti se solo andaste a rispulciarvi la
sua Storia. Che è sempre stata controcorrente, da quel “no” alla fusione invano
pretesa dai politicanti dell’epoca in un’unica società chiamata Roma.
Associazione Sportiva Roma che nacque dunque dall’insieme di sei società
esclusivamente calcistiche, ciascuna delle quali portava in dote la propria già
rodata e fedele tifoseria. Laddove la Lazio, fregiata del titolo di Ente
Morale, col suo campo della Rondinella già patriotticamente destinato a orto di
guerra nel ’15-18, considerava il dilettantismo un caposaldo anche nel calcio,
come in qualsiasi altra disciplina della sua splendida e multiforme
Polisportiva.
Tranquilli, non intendo riproporvi la Controstoria della Lazio, quella già l’ho
scritta anni fa. Andrebbe solo aggiornata. Era solo per darvi questo dato
iniziale: la Lazio Sezione Calcio resistette alla “politica”, si piegò per
ultima al professionismo e si ritrovò a 27 anni dalla sua fondazione con un
quarto (scarso) dei tifosi della neonata Roma.
Sola, come dicevo. Con il proprio orgoglio, contrabbandato dalla propaganda
degli avversari come puzza sotto il naso, squadra di ricchi contro squadra di
popolo, o squadra di burini contro squadra della città, anzi della Capitale.
Niente di più “fake”, come diremmo oggi, viste le origini popolari e
stracittadine dei fondatori. Ma è talmente passato ormai questo messaggio, che
da Bolzano a Caltanissetta tutti pensano sia proprio così: Lazio ricca e burina,
anche se dovrebbe saltare agli occhi la contraddizione in termini. E, secondo
la vulgata, derubare un ricco non è reato, se è pure un po’ grezzo, un po’ “de
paese”, beh c’è perfino più gusto.
Così è andata nel secolo, tra dolorose retrocessioni, scandali scommesse a colpevole
unico e quei due scudetti, lasciati vincere a Lenzini e Cragnotti a fronte di
una palese superiorità tecnica. In realtà un contentino: ne avrebbero vinti
almeno due di seguito a testa, se tutto fosse stato regolare.
Con una costante, però, di cui chi è laziale dovrebbe andare orgoglioso. Delle
migliaia di dirigenti, allenatori e giocatori che nel tempo hanno sposato
questi colori, non ce n’è uno che non abbia ricordato e raccontato di una
tifoseria unica per accoglienza, consapevolezza, competenza, comprensione,
disponibilità. L’empatia di una famiglia, a prescindere dai risultati. Di
Lazio, diceva “quello”, ci si ammala inguaribilmente. E quello era un certo
Chinaglia.
Questo velocissimo excursus (ci sarebbe da scriverne per mesi) è solo una
premessa del tema del giorno, la questione arbitrale. Che non è poi tema di un
giorno ma di una vita.
E allora lo affermo con fermezza: non ci sono complotti contro la Lazio.
La Lazio, semplicemente, ha sempre contato poco. E ora non conta nulla.
Perché:
1) Non ha appeal economico.
Il calcio, inteso come movimento, tende a tutelare gli investitori. Oggi per la
maggior parte stranieri (con qualche eccezione alla De Laurentiis). Sono loro
che portano i campioni, i grossi nomi che rendono il pallone esportabile,
appetibile per i grandi investimenti televisivi e pubblicitari. Lotito
rappresenta quanto di più statico esiste in questo mondo: investe quello che la
società guadagna (tolta la parte che si autoconferisce), non ha mai portato un
fuoriclasse all’apice della carriera, ha pescato qualche jolly qua e là
(Milinkovic, Immobile) e qualche scarto di fine carriera che ha reso a volte
più del pensabile (Klose e Leiva su tutti). Lotito è funzionale al Sistema
perché non ha ambizioni particolari e dispone di converso di un pubblico
appassionato che va allo stadio o si compra le partite in tv. Ha per la testa
la propria carriera politica e la propria solidità finanziaria. Ha usato la
Lazio come trampolino senza esserne tifoso, è detestato da una parte della
piazza dopo vent’anni di nulla. Semplicemente: non ha credito.
2) Non ha
sostegno mediatico.
Forse non ho più una grande memoria, ma non ricordo negli ultimi anni che un
quotidiano qualunque o una qualunque tv, nelle trasmissioni dedicate, abbia
preso una volta che conta una posizione pro-Lazio. Anzi no. Mi dicono che ieri
alla Domenica Sportiva della Rai l’ex arbitro Bergonzi abbia sostenuto che il
secondo rigore regalato ieri alla Fiorentina fosse sostanzialmente ridicolo (il
Var neanche doveva chiamare l’arbitro), come avevano pensato all’unisono i
tifosi laziali. Si vede che l’oscenità stavolta non si poteva proprio
nascondere. Anche se la sostituta di tale Marelli, opinionista arbitrale di
Dazn dall’alto di 15 partite dirette in A, aveva invece sostenuto in diretta la
tesi opposta, del rigore chiarissimo. Per una volta viva la Rai.
Perché la Lazio sia così poco protetta mediaticamente, beh provate a dirlo voi.
Perché non ci sono più giornalisti di fede laziale in giro? Forse è vero:
spesso chi disquisisce o scrive di Lazio proviene da altre realtà, per questo è
più tenero nella difesa dei colori.
A me viene da pensare, come sempre, alla Storia.
All’extracalcio, per esempio, ovvero alla descrizione a senso unico,
sconcertante nella sua banalità ripetitiva, di una tifoseria estremista che in
realtà ha rappresentato una piccola frangia dell’insieme e che non è diversa da
altre centinaia sparse per l’Italia.
E poi al provincialismo giornalistico. Nel paradiso dei media, la Lazio non ha
santi. I direttori sanno che ormai si vende solo un prodotto di massa, prendere
le parti della Lazio non porta lettori, magari indispettirebbe i rivali. Un
tempo il giornalismo sportivo era deontologicamente impeccabile. Arpino, Brera,
Ghirelli, Cannavò non scrivevano sotto tifo né sotto dettatura. Mai saputo prima
di entrare in questo mondo che Nando Martellini fosse della Roma, Sandro Ciotti
della Lazio, Maurizio Barendson del Napoli (dicono). Non lo hanno mai dato a
vedere. Si pensava, da certi toni enfatici, che Enrico Ameri tenesse alla Juve
e Beppe Viola al Milan. Bruno Pizzul all’Udinese giusto per le origini
friulane. Giganti d’imparzialità che entravano in punta di piedi nelle nostre
case.
Il confronto di oggi è con dei nani urlanti.
Ne nascono sperequazioni manifeste che passano per lo più inosservate. Ricordo
la presentazione di un campionato fatta da un ex grande quotidiano sportivo tre
o quattro stagioni fa: in prima pagina le gigantografie degli annunciati
protagonisti, tranne il laziale Immobile che aveva appena vinto la classifica
cannonieri, anzi la Scarpa d’Oro. Ho appena visto una presentazione del
campionato (denominato Serie A Enilive in omaggio allo sponsor) targata Dazn dove
scorrono immagini di gol di tutte le squadre meno la Lazio.
Se ne potrebbero contare a centinaia di “cadute” così. Ma non faccio del
vittimismo, ho smesso da quando, appena entrato in questo ambiente, ho avuta
ben chiara la situazione. Semplicemente constato. Che per una serie di
sfortunate coincidenze, errori fortuiti, sviste clamorose e…un pizzico di
malizia, il dispettuccio salta sempre fuori. Le abbiamo fatto un torto? Ma in
fondo checcenefrega della Lazio! Non salteranno direttori, non perderemo copie
né abbonamenti tv, né ascoltatori radio. Non ci saranno rivoluzioni, nemmeno
piccoli sussulti di audience. Si lamenterà al massimo qualche allenatore nel
dopo-partita, tipo Sarri che, passato per due squadroni, ha compreso al volo
l’andazzo. E a metterci una pietra sopra ci penserà un Marelli di passaggio.
Il punto è: no, non è mai stato facile essere della Lazio. Oggi, con Lotito,
meno che mai. Ma se il fascino fosse proprio questo? E se, oltre all’orgoglio,
ci mettessimo un po’ di ironia…?
Il solito, impeccabile Vincenzo. Grazie!
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