Dudi da giovane era una "ragazza" snella e turbolenta. Con due occhi spalancati sul mondo e pronta a cavar fuori le unghie se solo la contraddicevi. Grande cacciatrice di lucertole lungo le pendici del Gianicolo, tra le fratte intricate e scoscese. Per giocarci, non certo per mangiarle. Per quell'istinto felino che per il resto ti porta a rubacchiare quel che capita e a seminare soprammobili a colpi di coda.
Dudi potevi anche scriverlo Doodie per inglesizzarla o per dare meglio il senso del suo musetto da impunita. Provocante e bellissimo. Quando è cresciuta, diventando "signorina" (mai signora gatto, per voleri superiori) si è un po' allargata di fianchi e di ventre ma è rimasta sempre lucente del suo pelo grigio e la sua espressione non ha mai perso la vivacità di un tempo:più attenta ai soprammobili, questo sì, ma spettacolare nelle capriole sul tappeto. E' invecchiata pian piano come una Sofia Loren o una Gina Lollobrigida, senza mai perdere il fascino seducente della gatta sorniona che sa di essere bella e anche per questo amatissima. Ha preso anzi a concedersi, civettuola, agli estimatori che prima rifuggiva con sdegno. Sempre a tempo di musica barocca, il tempo che ha segnato la sua lunga vita, centenaria eppure troppo breve comunque...
Mimù era un gatto meridionale, nato tra le macerie di un paese del Sud. Salvato quasi in fasce da una morte certa o probabile, o comunque da un futuro incerto da randagio. Era sopravvissuto a vari e amorevoli padroni (sì, li chiameremo così anche se per un gatto, dicono, l'uomo è solo un gatto grosso, un gatto gigante...), volati in cielo sul più bello, e non fosse stato per i ciuffi di pelo cadente che provocano allergie incontenibili sarebbe rimasto per sempre a Napoli con la sua amica gattofila, pizza e mandolini. Mimù potevi anche ingentilirlo in Mimou, alla francese. Anche lui era un cacciatore. Potenziale, ma pur sempre cacciatore. Attento ai movimenti degli uccelli, al loro svolazzare al di là dei vetri o ben oltre la ringhiera del terrazzino. Guardando ogni giorno con rinnovata meraviglia il piccione librarsi nell'aria sembrava chiedersi "Ma comme fa...?", come i seguaci del "professore" nei vecchi film di Luciano De Crescenzo. Era il massimo dell'adrenalina che riuscisse a produrre. Avvezzo com'era nel resto della giornata a battere ogni record gattesco di pennichella. Interrotta solo per rapide e precise puntate al piattino delle cibarie. Niente sport, troppo faticoso e improduttivo. Solo un salto ben calcolato sulla pancia del padrone, assopito davanti alla televisione. Per le coccole certo, ma pure perché lo stomaco umano in digestione è la superficie più simile a un materasso ad acqua in cui ti può capitare di distendersi per riconciliare il sonno.
Altri con Slam avrebbero parlato solo in tedesco. Perché lui era un Pastore con un lungo pedigree nobiliare, piovuto a Roma da una nidiata teutonica selezionata. Dicono che la razza pura si riconosca dalle orecchie, sì che insomma i bastardi ce le abbiano basse e cadenti per principio. Quelle di Slam erano alte e ritte. E se dapprincipio il suo pencolare svirgolante, le zampotte corte e goffe, lo rendevano più simile a tanti giocosi lupacchiotti, appena cresciuto e slanciato faceva girare la testa sia alle cagnette del quartiere che alle loro padrone. Portarlo al guinzaglio era una soddisfazione per gli "ooh" ammirati che lo accompagnavano. Non lo amavano altrettanto i randagi di Prati che però arrivavano sempre prima al centro esatto delle auto posteggiate, impossibili da stanare anche con l'abbaiare più grintoso. Ma Slam era un normale cane borghese, non si vantò mai della sua bellezza e si mostrò così paziente e "plebeo" (in senso buono) da riuscire a sbucciare perfino le noci con il suo muso enorme, ghiotto del mallo senza ingoiare neanche un millimetro di scorza.
Jolly infine era invece un tipo da canile. Doveva aver avuto molti padri e una madre di strada di quelle che sfornano figli tutti diversi e non hanno il tempo di riconoscerli. Ma il suo muso valeva da solo, come si dice, il prezzo del biglietto. E se, crescendo, il corpo gli si faceva tozzo, denotando le origini bastarde, la sua espressione era tutto quello che potevi chiedere a un cane: sapeva d'amore, di riconoscenza imperitura, di gratitudine paziente. Ha sopportato di tutto, Jolly. Per esempio una lesmaniosi che avrebbe stroncato un paracarri ma non uno tosto come lui. Ha accettato tutto l'accanimento terapeutico possibile e ne è uscito ancora più mansueto e docile, ma sostanzialmente felice. Felice di un sasso da riportare e di un pezzetto piccolo di pane se glielo lasciavi cadere dalla tavola. Era come un bambino a cui offri un gelato per merenda, quel pezzetto di crosta. Chissà, forse lo interpretava come un premio alla bontà e ne andava fiero. Dudi preferiva la pasta al pesto, un maccheroncino come dessert... Slam le noci sotto Natale... Solo Mimù, da buon napoletano, andava pazzo per il pesce fresco.
Tutti, lo avrete capito, sono andati via. Con la zampa nella mano del loro amico più caro. Nell'ora del trapasso, quando un'iniezione ti seda, ti calma il dolore, ti rilassa nel sogno. E un'altra, poco dopo, ti toglie per sempre dalla sofferenza terrena. Mimù non riusciva più a muoversi e neanche a chiudere gli occhi per dormire, Slam non sentiva più le zampe posteriori, il suo baricentro aveva ceduto poco per volta e non era degno strisciare per uno come lui, Jolly non riusciva ormai più a salire neanche sul sedile della macchina che tanto amava e agognava, divorato e infine vinto da un'altra tremenda malattia. Dudi si è arresa solo stamattina a un'inedia che non poteva capire: le si contavano le costole e solo il muso non ha mai perso fino all'ultimo la sua miracolosa bellezza.
So che noi padroni continueremo a sognarli mentre si rincorrono in un Walalla di prati infiniti, nutrendosi di ghiotti bocconcini. Ma non può esistere un paradiso per gli animali, per il semplice fatto che nessun animale potrà mai andare all'inferno. Non esistendo animali cattivi, neanche gli squali o gli sciacalli.
Ma Dudi e Mimù, Slam e Jolly in paradiso ci sono già stati. Vivendo una vita probabilmente superiore alle attese. come lunghezza e come qualità. Come la stanno vivendo ancora Briscola e Mina, Tommy e Lollo, di cui non riveleremo identità e caratteristiche per il diritto alla privacy che gli spetta. In cambio tutti loro ci hanno ripagato, e ci stanno ripagando, con qualcosa che non ha prezzo: l'amore cieco e incondizionato, la fedeltà, l'intelligenza, le trovate, le espressioni. Che ci lasciano di stucco. Ci hanno fatto ridere. E ora un po' piangere...nel ricordarli, Ma solo un po'. Piangiamo per noi. Loro no, avevano la loro zampa nella nostra mano ed erano comunque felici.
Dudi potevi anche scriverlo Doodie per inglesizzarla o per dare meglio il senso del suo musetto da impunita. Provocante e bellissimo. Quando è cresciuta, diventando "signorina" (mai signora gatto, per voleri superiori) si è un po' allargata di fianchi e di ventre ma è rimasta sempre lucente del suo pelo grigio e la sua espressione non ha mai perso la vivacità di un tempo:più attenta ai soprammobili, questo sì, ma spettacolare nelle capriole sul tappeto. E' invecchiata pian piano come una Sofia Loren o una Gina Lollobrigida, senza mai perdere il fascino seducente della gatta sorniona che sa di essere bella e anche per questo amatissima. Ha preso anzi a concedersi, civettuola, agli estimatori che prima rifuggiva con sdegno. Sempre a tempo di musica barocca, il tempo che ha segnato la sua lunga vita, centenaria eppure troppo breve comunque...
Mimù era un gatto meridionale, nato tra le macerie di un paese del Sud. Salvato quasi in fasce da una morte certa o probabile, o comunque da un futuro incerto da randagio. Era sopravvissuto a vari e amorevoli padroni (sì, li chiameremo così anche se per un gatto, dicono, l'uomo è solo un gatto grosso, un gatto gigante...), volati in cielo sul più bello, e non fosse stato per i ciuffi di pelo cadente che provocano allergie incontenibili sarebbe rimasto per sempre a Napoli con la sua amica gattofila, pizza e mandolini. Mimù potevi anche ingentilirlo in Mimou, alla francese. Anche lui era un cacciatore. Potenziale, ma pur sempre cacciatore. Attento ai movimenti degli uccelli, al loro svolazzare al di là dei vetri o ben oltre la ringhiera del terrazzino. Guardando ogni giorno con rinnovata meraviglia il piccione librarsi nell'aria sembrava chiedersi "Ma comme fa...?", come i seguaci del "professore" nei vecchi film di Luciano De Crescenzo. Era il massimo dell'adrenalina che riuscisse a produrre. Avvezzo com'era nel resto della giornata a battere ogni record gattesco di pennichella. Interrotta solo per rapide e precise puntate al piattino delle cibarie. Niente sport, troppo faticoso e improduttivo. Solo un salto ben calcolato sulla pancia del padrone, assopito davanti alla televisione. Per le coccole certo, ma pure perché lo stomaco umano in digestione è la superficie più simile a un materasso ad acqua in cui ti può capitare di distendersi per riconciliare il sonno.
Altri con Slam avrebbero parlato solo in tedesco. Perché lui era un Pastore con un lungo pedigree nobiliare, piovuto a Roma da una nidiata teutonica selezionata. Dicono che la razza pura si riconosca dalle orecchie, sì che insomma i bastardi ce le abbiano basse e cadenti per principio. Quelle di Slam erano alte e ritte. E se dapprincipio il suo pencolare svirgolante, le zampotte corte e goffe, lo rendevano più simile a tanti giocosi lupacchiotti, appena cresciuto e slanciato faceva girare la testa sia alle cagnette del quartiere che alle loro padrone. Portarlo al guinzaglio era una soddisfazione per gli "ooh" ammirati che lo accompagnavano. Non lo amavano altrettanto i randagi di Prati che però arrivavano sempre prima al centro esatto delle auto posteggiate, impossibili da stanare anche con l'abbaiare più grintoso. Ma Slam era un normale cane borghese, non si vantò mai della sua bellezza e si mostrò così paziente e "plebeo" (in senso buono) da riuscire a sbucciare perfino le noci con il suo muso enorme, ghiotto del mallo senza ingoiare neanche un millimetro di scorza.
Jolly infine era invece un tipo da canile. Doveva aver avuto molti padri e una madre di strada di quelle che sfornano figli tutti diversi e non hanno il tempo di riconoscerli. Ma il suo muso valeva da solo, come si dice, il prezzo del biglietto. E se, crescendo, il corpo gli si faceva tozzo, denotando le origini bastarde, la sua espressione era tutto quello che potevi chiedere a un cane: sapeva d'amore, di riconoscenza imperitura, di gratitudine paziente. Ha sopportato di tutto, Jolly. Per esempio una lesmaniosi che avrebbe stroncato un paracarri ma non uno tosto come lui. Ha accettato tutto l'accanimento terapeutico possibile e ne è uscito ancora più mansueto e docile, ma sostanzialmente felice. Felice di un sasso da riportare e di un pezzetto piccolo di pane se glielo lasciavi cadere dalla tavola. Era come un bambino a cui offri un gelato per merenda, quel pezzetto di crosta. Chissà, forse lo interpretava come un premio alla bontà e ne andava fiero. Dudi preferiva la pasta al pesto, un maccheroncino come dessert... Slam le noci sotto Natale... Solo Mimù, da buon napoletano, andava pazzo per il pesce fresco.
Tutti, lo avrete capito, sono andati via. Con la zampa nella mano del loro amico più caro. Nell'ora del trapasso, quando un'iniezione ti seda, ti calma il dolore, ti rilassa nel sogno. E un'altra, poco dopo, ti toglie per sempre dalla sofferenza terrena. Mimù non riusciva più a muoversi e neanche a chiudere gli occhi per dormire, Slam non sentiva più le zampe posteriori, il suo baricentro aveva ceduto poco per volta e non era degno strisciare per uno come lui, Jolly non riusciva ormai più a salire neanche sul sedile della macchina che tanto amava e agognava, divorato e infine vinto da un'altra tremenda malattia. Dudi si è arresa solo stamattina a un'inedia che non poteva capire: le si contavano le costole e solo il muso non ha mai perso fino all'ultimo la sua miracolosa bellezza.
So che noi padroni continueremo a sognarli mentre si rincorrono in un Walalla di prati infiniti, nutrendosi di ghiotti bocconcini. Ma non può esistere un paradiso per gli animali, per il semplice fatto che nessun animale potrà mai andare all'inferno. Non esistendo animali cattivi, neanche gli squali o gli sciacalli.
Ma Dudi e Mimù, Slam e Jolly in paradiso ci sono già stati. Vivendo una vita probabilmente superiore alle attese. come lunghezza e come qualità. Come la stanno vivendo ancora Briscola e Mina, Tommy e Lollo, di cui non riveleremo identità e caratteristiche per il diritto alla privacy che gli spetta. In cambio tutti loro ci hanno ripagato, e ci stanno ripagando, con qualcosa che non ha prezzo: l'amore cieco e incondizionato, la fedeltà, l'intelligenza, le trovate, le espressioni. Che ci lasciano di stucco. Ci hanno fatto ridere. E ora un po' piangere...nel ricordarli, Ma solo un po'. Piangiamo per noi. Loro no, avevano la loro zampa nella nostra mano ed erano comunque felici.
Grandissimo pezzo (come sempre d'altronde...), complimenti Vincenzo!
RispondiEliminaGrazie mille Gianluca
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