Da oggi sono in pensione...
"Ma come? Non c'eri già annato...?", obietterà in romanesco il mio amico invidioso.
Da giornalista sì.
Mi sono dimesso da tifoso - o meglio, da appassionato - di calcio.
Le due vicende si assomigliano.
Sono stato sollevato spiritualmente dall'aver lasciato una professione che non mi apparteneva più, dopo averne visto troppo, di asservimento al Potere. Talmente distante dal mio ideale giovanile, questo mestiere, da non essere più sopportabile neanche tappandosi il naso e tutti gli altri orifizi. Un precipitare di sottomissione, di dipendenza, che è del resto alla radice della sempre più inarrestabile crisi editoriale.
E mi sento oggi altrettanto libero. Avendo spiegato al cuore che non c'è più bisogno di agitarsi e di palpitare per una pura finzione. Un rotolare convulso di pallone che non è realtà, è solo un film con qualche effetto speciale dove il finale non cambia mai, anche quando ti sembra che la trama sia diversa.
Vado in pensione dopo una cinquantina d'anni almeno di grande applicazione e diuturno lavoro. Cominciato con la sognante collezione delle figurine e finito con la malinconica compagnia di una squallida tv a pagamento.
Ci abbiamo creduto tutti al calcio. Da bambini. Per via di quel verde rettangolo perfetto, di un colore troppo emozionante rispetto a un piccolo televisore in bianco e nero. Abbiamo imparato allo stadio che l'arbitro era cornuto per definizione. Ma era solo per un modo di dire visto che il nome neanche lo sapevamo, a parte Lo Bello che era un ossimoro per la memoria.
L'arbitro difendeva le grandi dall'impertinenza delle piccole. Ma ogni tanto ci scappava la sorpresa e tanto ci bastava, un rotondo 3-0 alla Juve o una vittoria di misura sull'Inter pigliatutto o sul Milan di Rivera. Vennero così il Cagliari di Gigi Riva e il Verona di Bagnoli. E nel mezzo la Lazio del '74, che vinse uno scudetto e un altro glielo rubarono per via di quei giochetti che si facevano in campo, tra giocatori e dirigenti, aiutati che l'amico ti aiuta.
Poi quei giochetti vennero esportati nel mondo delle scommesse e si fecero più sporchi mano a mano che la posta cresceva. Hanno scommesso tanti, forse tutti, hanno pagato in pochissimi, e tra questi due volte la Lazio. Ma a rialzarci hanno provveduto infine i ragazzi dei -9 e di Fascetti, confezionando l'ultima impresa veramente e solamente sportiva. Senza aiuti, anzi tra mille perfide trappole, l'ultima delle quali nel primo spareggio di Napoli col Taranto.
Il business del calcio sarebbe definitivamente esploso di lì a poco. Schierando in campo un altro tipo di presidente, non più il "ricco scemo" ma l'industriale senza scrupoli. Il giro di denaro è diventato esorbitante, gli interessi in ballo ben superiori al semplice "oppio dei popoli" della domenica pomeriggio. Niente è stato più come prima, a colpi di introiti assicurati da Murdoch e miliardari indebitamenti per restare al passo.
Non c'è più stato un campionato che sia filato liscio, forse dall'Inter dei record del vecchio Trap. L'inchiesta di calciopoli ha scoperchiato solo una piccola parte della cloaca, abbastanza per farne uscire solo il puzzo nauseabondo di uno sport andato a male.
Il bambino delle figurine è passato dunque per un marciume crescente. Ha capito che spesso l'arbitro non sbagliava per caso, che le partite erano indirizzate. Che la nuova legge, quello dello spettacolo da vendere al miglior offerente, prevedeva al primo articolo che venissero tutelati e premiati i maggiori investitori e le audience più numerose. Si è reso conto da solo che non ci sarebbe mai più stato un Cagliari e neanche un Verona.
Ma ostinato nei suoi sogni, come ogni peter pan che si rispetti, ha visto improvvisamente una squadra "fuori contesto", la sua Lazio, giocare sempre meglio, rompere gli equilibri a destra e a manca e candidarsi seriamente per un posto al sole. Ingenuo come tutti i bambini, ha pure pensato che quel nuovo aggeggio chiamato impersonalmente Var, potesse fare giustizia delle ingiustizie. Che l'arbitro e i suoi accoliti non potessero alla fine più di tanto. Vinca il migliore, hai visto mai?
Era un inganno ovviamente. E se tre indizi fanno una prova, tre prove che fanno? Due che vanno sullo stesso pallone in un incrocio di scarpini fanno rigore? Un difensore che sposta il pallone con la mano a un attaccante che sta per calciare non lo fa, il rigore? E un braccio largo che più largo non si può? L'interpretazione della Var è un imbroglio, l'ennesimo che ci hanno propinato. Che hanno propinato alla Lazio per estrometterla dai quattro posti di Champions, già assegnati in base ai criteri suddetti: la Roma di Pallotta e Unicredit cui stanno già regalando lo stadio privato a spese pubbliche; l'Inter dei cinesi, investitori benvenuti al pari degli americani; la Juve Signora per cui tifa mezza Italia; il Napoli di Napul'è mille culori che fa tanto parità sociale e riscatto del Meridione.
Interessa a qualcuno la Lazio "fascista"?
A parte Crozza, ovviamente, che fa ridere o forse no. A parte l'apertura dei Tg1 e lo sdegno di Gentiloni e Renzi, del ministro dello sport che neanche so come si chiama né m'interessa. A parte le censure di Malagò, per cui il governo sta pensando a una legge di bilancio che ne renda possibile il terzo mandato, unico rappresentante al mondo dello sport con sciarpa di club al collo. A parte le battute passate di Storace e Gasparri, a parte il balletto Zingaretti-Raggi sul ponte a spese nostre propedeutico allo stadio che verrà.
No, non è un complotto politico, perché un complotto si può scoprire e perfino punire.
E' un Sistema. Un sistema di Potere che detta le regole, tutte, della nostra società.
Ma non è neanche la rivalsa il problema. Fosse questo, basterebbe ritirarsi nella foresta di Sherwood a fare agguati allo sceriffo di Nottingham, a rendergli la vita impossibile. Se Tuttosport scrive oggi che Giacomelli non sbaglia nulla e merita 6,5 in pagella si qualifica da solo. Magari è peggio quando il cronista di Rai1, ovvero colui che paghiamo a canone obbligatorio, afferma nell'edizione delle 8 che la Lazio fa polemica per un presunto fallo di mano e la "guanciata" di Immobile a Burdisso è altamente censurabile. Quindici secondi netti di anti-cronaca, di faziosità allo stato puro.
Ho spento la radio qui. E ho acceso il cervello.
E il cervello ha deciso di parlare francamente al cuore. "Ma come fai a crederci ancora? - gli ha detto - Non vedi che ti fai male da solo? Che quando ti rubano una partita come quella di ieri, è come se avessi avuto i ladri in casa? A frugare tra le tue cose, a portarti via i risparmi e i progetti? Non ti accorgi che è tutto scritto dall'inizio? Un copione in cui è previsto perfino il fermo per un paio di giornate degli arbitri distratti? Per far vedere... Se non molli adesso, sei finito! Ci ricaschi, magari ci rimani... E per cosa? Per una bolla artificiale, una fiction?"
Il cuore per una volta ha ascoltato il cervello.
Il bambino delle figurine va in pensione, spegne la passione residua con un clic.
Sono un ex giornalista sportivo.
Ho dubitato da tempo.
Ora non credo più.
"Ma come? Non c'eri già annato...?", obietterà in romanesco il mio amico invidioso.
Da giornalista sì.
Mi sono dimesso da tifoso - o meglio, da appassionato - di calcio.
Le due vicende si assomigliano.
Sono stato sollevato spiritualmente dall'aver lasciato una professione che non mi apparteneva più, dopo averne visto troppo, di asservimento al Potere. Talmente distante dal mio ideale giovanile, questo mestiere, da non essere più sopportabile neanche tappandosi il naso e tutti gli altri orifizi. Un precipitare di sottomissione, di dipendenza, che è del resto alla radice della sempre più inarrestabile crisi editoriale.
E mi sento oggi altrettanto libero. Avendo spiegato al cuore che non c'è più bisogno di agitarsi e di palpitare per una pura finzione. Un rotolare convulso di pallone che non è realtà, è solo un film con qualche effetto speciale dove il finale non cambia mai, anche quando ti sembra che la trama sia diversa.
Vado in pensione dopo una cinquantina d'anni almeno di grande applicazione e diuturno lavoro. Cominciato con la sognante collezione delle figurine e finito con la malinconica compagnia di una squallida tv a pagamento.
Ci abbiamo creduto tutti al calcio. Da bambini. Per via di quel verde rettangolo perfetto, di un colore troppo emozionante rispetto a un piccolo televisore in bianco e nero. Abbiamo imparato allo stadio che l'arbitro era cornuto per definizione. Ma era solo per un modo di dire visto che il nome neanche lo sapevamo, a parte Lo Bello che era un ossimoro per la memoria.
L'arbitro difendeva le grandi dall'impertinenza delle piccole. Ma ogni tanto ci scappava la sorpresa e tanto ci bastava, un rotondo 3-0 alla Juve o una vittoria di misura sull'Inter pigliatutto o sul Milan di Rivera. Vennero così il Cagliari di Gigi Riva e il Verona di Bagnoli. E nel mezzo la Lazio del '74, che vinse uno scudetto e un altro glielo rubarono per via di quei giochetti che si facevano in campo, tra giocatori e dirigenti, aiutati che l'amico ti aiuta.
Poi quei giochetti vennero esportati nel mondo delle scommesse e si fecero più sporchi mano a mano che la posta cresceva. Hanno scommesso tanti, forse tutti, hanno pagato in pochissimi, e tra questi due volte la Lazio. Ma a rialzarci hanno provveduto infine i ragazzi dei -9 e di Fascetti, confezionando l'ultima impresa veramente e solamente sportiva. Senza aiuti, anzi tra mille perfide trappole, l'ultima delle quali nel primo spareggio di Napoli col Taranto.
Il business del calcio sarebbe definitivamente esploso di lì a poco. Schierando in campo un altro tipo di presidente, non più il "ricco scemo" ma l'industriale senza scrupoli. Il giro di denaro è diventato esorbitante, gli interessi in ballo ben superiori al semplice "oppio dei popoli" della domenica pomeriggio. Niente è stato più come prima, a colpi di introiti assicurati da Murdoch e miliardari indebitamenti per restare al passo.
Non c'è più stato un campionato che sia filato liscio, forse dall'Inter dei record del vecchio Trap. L'inchiesta di calciopoli ha scoperchiato solo una piccola parte della cloaca, abbastanza per farne uscire solo il puzzo nauseabondo di uno sport andato a male.
Il bambino delle figurine è passato dunque per un marciume crescente. Ha capito che spesso l'arbitro non sbagliava per caso, che le partite erano indirizzate. Che la nuova legge, quello dello spettacolo da vendere al miglior offerente, prevedeva al primo articolo che venissero tutelati e premiati i maggiori investitori e le audience più numerose. Si è reso conto da solo che non ci sarebbe mai più stato un Cagliari e neanche un Verona.
Ma ostinato nei suoi sogni, come ogni peter pan che si rispetti, ha visto improvvisamente una squadra "fuori contesto", la sua Lazio, giocare sempre meglio, rompere gli equilibri a destra e a manca e candidarsi seriamente per un posto al sole. Ingenuo come tutti i bambini, ha pure pensato che quel nuovo aggeggio chiamato impersonalmente Var, potesse fare giustizia delle ingiustizie. Che l'arbitro e i suoi accoliti non potessero alla fine più di tanto. Vinca il migliore, hai visto mai?
Era un inganno ovviamente. E se tre indizi fanno una prova, tre prove che fanno? Due che vanno sullo stesso pallone in un incrocio di scarpini fanno rigore? Un difensore che sposta il pallone con la mano a un attaccante che sta per calciare non lo fa, il rigore? E un braccio largo che più largo non si può? L'interpretazione della Var è un imbroglio, l'ennesimo che ci hanno propinato. Che hanno propinato alla Lazio per estrometterla dai quattro posti di Champions, già assegnati in base ai criteri suddetti: la Roma di Pallotta e Unicredit cui stanno già regalando lo stadio privato a spese pubbliche; l'Inter dei cinesi, investitori benvenuti al pari degli americani; la Juve Signora per cui tifa mezza Italia; il Napoli di Napul'è mille culori che fa tanto parità sociale e riscatto del Meridione.
Interessa a qualcuno la Lazio "fascista"?
A parte Crozza, ovviamente, che fa ridere o forse no. A parte l'apertura dei Tg1 e lo sdegno di Gentiloni e Renzi, del ministro dello sport che neanche so come si chiama né m'interessa. A parte le censure di Malagò, per cui il governo sta pensando a una legge di bilancio che ne renda possibile il terzo mandato, unico rappresentante al mondo dello sport con sciarpa di club al collo. A parte le battute passate di Storace e Gasparri, a parte il balletto Zingaretti-Raggi sul ponte a spese nostre propedeutico allo stadio che verrà.
No, non è un complotto politico, perché un complotto si può scoprire e perfino punire.
E' un Sistema. Un sistema di Potere che detta le regole, tutte, della nostra società.
Ma non è neanche la rivalsa il problema. Fosse questo, basterebbe ritirarsi nella foresta di Sherwood a fare agguati allo sceriffo di Nottingham, a rendergli la vita impossibile. Se Tuttosport scrive oggi che Giacomelli non sbaglia nulla e merita 6,5 in pagella si qualifica da solo. Magari è peggio quando il cronista di Rai1, ovvero colui che paghiamo a canone obbligatorio, afferma nell'edizione delle 8 che la Lazio fa polemica per un presunto fallo di mano e la "guanciata" di Immobile a Burdisso è altamente censurabile. Quindici secondi netti di anti-cronaca, di faziosità allo stato puro.
Ho spento la radio qui. E ho acceso il cervello.
E il cervello ha deciso di parlare francamente al cuore. "Ma come fai a crederci ancora? - gli ha detto - Non vedi che ti fai male da solo? Che quando ti rubano una partita come quella di ieri, è come se avessi avuto i ladri in casa? A frugare tra le tue cose, a portarti via i risparmi e i progetti? Non ti accorgi che è tutto scritto dall'inizio? Un copione in cui è previsto perfino il fermo per un paio di giornate degli arbitri distratti? Per far vedere... Se non molli adesso, sei finito! Ci ricaschi, magari ci rimani... E per cosa? Per una bolla artificiale, una fiction?"
Il cuore per una volta ha ascoltato il cervello.
Il bambino delle figurine va in pensione, spegne la passione residua con un clic.
Sono un ex giornalista sportivo.
Ho dubitato da tempo.
Ora non credo più.
Perfetto, grazie, una sintesi esemplare.
RispondiEliminaUn'analisi spietata ed ineccepibile. Grazie!
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