Non ho pianto, ho scritto un tweet...
Lo so che lo sai cos'è un tweet, caro Felice. Come so che sei rimasto fermo al telefono, quello purissimo del "pronto chi parla". Di messaggi il minimo indispensabile, whatsapp una parola senza significato e forse senza senso.
Che vuoi farci. Non avevo un computer sotto mano e neanche la forza di farci scorrere su le uniche due dita che ne hanno confidenza. L'ho saputo alle 14,28, perché della nostra vita oggi resta traccia indelebile nella taratura degli strumenti. E ho scritto di getto quello che mi ha suggerito il cuore quando è già stretto e tu lo strizzi ancora in 140 caratteri, o quelli che sono, non lo so più.
Che stavi per lasciarci lo sapevo. Perché tra laziali siamo abituati a far la conta, più per scaramanzia che per altro. "Lo sai che Felice e Mario stanno malissimo...", mi disse non so chi. E io Mario lo sentivo spesso per radio e gli sentivo la malattia nella voce. Ma a te non ti sentivo proprio più. E per questo ci stavo più male.
Io ho un freno a mano di fronte alla malattia degli altri. Questo è un blog e posso parlarci dentro come fossi steso sul lettino dello psicanalista, esperienza che non ho mai fatto. Forse più che un freno è un airbag salvavita. Penso a cosa vorrei se fossi io quello da compiangere. A cosa risponderei a uno che ti chiede, compunto e timoroso, "come stai?". A come reagirei se uno - che non sia un familiare stretto, è ovvio - volesse venirmi a trovare. Non ho risposte certe. Ma intanto io cerco di non disturbare. Di non invadere. Avrei dovuto telefonarti e dirti quel banale e irriverente "Come stai?" e chiederti se fossi disposto a vedermi, mai successo fuori da eventi ufficiali: ti avrei allarmato, penso. "E questo perché vuole vedermi? Allora sto messo male davvero..."
Poi Mario ci ha lasciati l'ultimo giorno di agosto. Ho scoperto solo oggi che aveva un mese esatto meno di te. E il vostro percorso lo avete compiuto insieme per intero, partendo dalla nebbia di lassù e respirando il sole di qua in mezzo, Mario anche il mare che forse tu amavi di meno, neanche questo so per certo. Respirando la Lazio, che vi ha incantato entrambi, una sirena scudettata che vi ha incatenato qui, tra la gente che vi ha amato e che non dimentica.
Per entrambi avevo sperato nel "miracolo Gigi Riva", che tu non sai cos'è, come whatsapp... E' una cosetta mia e dei miei amici più stretti: mi avevano detto, diversi anni fa, che Riva stava per morire e io che faccio il giornalista e ho tanti amici calciofili lo avevo rivelato sottovoce a qualcuno, perché ogni tanto ci si vanta di sapere e pazienza se sono notizie tristi. Gigi è sempre lì, rombo di tuono, e devo avergli allungato e di molto la vita. I miei amici invece ancora mi sfottono... E stavolta la scaramanzia non ha funzionato.
Ho pianto un po' solo stamattina. Nel dormiveglia di una notte agitata. Solo un paio di lacrime nel rimetterti a fuoco. Ma qui non scriverò della tua vita e della tua intensa carriera pubblica, penso lo abbiano fatto frettolosamente altri, non ho letto i giornali. Solo un paio di lacrime. Quelle che tu ingoiavi ogni volta che ti chiamavano a parlare di chi non c'era più, fosse Tommaso o fosse Giorgio. Tommaso più di Giorgio, perché è stato il primo dolore. E il primo dolore, quando perdi un padre, ti ghiaccia l'anima e te la scioglie nel tempo, te lo diluisce.
Ho riletto quello che ho scritto in quel tweet, in quei due minuti di apnea dopo aver saputo.
Che eri il mio idolo quando prima dei vent'anni mi (ci) hai regalato la gioia più grande in assoluto della mia vita di passione pallonara. Un idolo in condominio perché nel calcio si vince di squadra ed è la squadra che diventa idolo. Per me non sarà mai la Lazio di Chinaglia e Wilson, o tua e di Cecco, o del mio coetaneo e omonimo Vincenzo. Sarà la Lazio, intesa nella sua purissima essenza. In questo senso ho scritto che tu sei la Lazio. Ho scritto "sei stato" ma è stata la fretta, l'urgenza di espandere il dolore o meglio di lenirlo condividendolo.
Poi che sei stato il tecnico con cui confrontarmi. E questo riguarda la nostra maturità. Io giornalista di sport. Tu dirigente, ma prima esperto di calcio, perché nel calcio hai fatto tutto, portiere, allenatore, perfino facente funzione di presidente. Io non ho memoria per le cose piccole e quindi non mi ricordo quando ci siamo presentati, quando ti ho stretto quella mano prodigiosa la prima volta. Forse c'era Giorgio presidente e io ero poco più che un apprendista a Monte Zebio o a Tor di Quinto, ovvero nel mio personale paese delle meraviglie. Però ricordo le cose grandi. Le telefonate che ti facevo per un'intervista o quelle che mi facevi tu per commentare quello che scrivevo. Partivi da lontano, dopo aver alzato la cornetta di getto, io lo so. Per dirmi che condividevi tutto ma... Poi c'era un ma, un dettaglio, un qualcosa che mancava, un aggettivo magari. Ti accendevi pian piano, come hai sempre fatto. Ti infervoravi in ogni discussione, come l'ottimo avvocato che sei. Credo di averti fatto un regalo ogni volta che scrivevo, e ci credevo sul serio, che la Lazio avrebbe avuto bisogno di più laziali dentro. E non parlo di Lotito, erano ancora i tempi di Cragnotti. E tu eri già dentro, c'eri già stato con Chinaglia, rimettendoci in denaro e in salute. Ne avresti voluti altri come te, come Bob. Coinvolti nell'avventura. Già, il tuo amico Bob, il mio amato Lovati...
Questa voglio raccontarla. Voglio sfotterti anch'io, come i miei amici fanno con me per la storia di Riva. Venni a Formello e Formello era appena sorta. Il '98 forse, l'ho già detto, ho poca memoria. Tu e Bob avevate uffici limitrofi. Lui osservatore credo, perfetto relazionatore di prossime avversarie. Tu al Settore Giovanile, responsabile di speranze a venire. Sembravo Giovinco in mezzo a voi portieri lungagnoni e credo di essermi trattenuto per ore perché non mi stancavo mai di ascoltarvi, specie quando vi punzecchiavate in mezzo dialetto, milanesacci che non siete altro. Mi dicesti: "Conosci Domizzi, il nostro giovane centrale? Beh, vedrai. Lui si mangia pure Nesta". Sbagliasti tu o si perse lui, questo non lo so. Anche se gioca ancora, ho visto, a 38 anni. E ha fatto la sua brava carriera, anche se Nesta non lo ha mai raggiunto. E lo so che adesso mi dedicherai un sermoncino da qualche parte lassù per argomentare le tue ragioni. Causa persa, amico mio...
Amico. Nel tweet l'ho scritto con la A maiuscola. Ma subito mi sono chiesto se non fosse magari solo una mia suggestione. E' vero, tu mi hai accompagnato, sei stato testimone, di due momenti fondamentali di un'altra parte della mia vita. Hai presentato i miei primi due libri. L'ho chiesto a te e non potevo chiederlo ad altri che a te. Perché sapevo che li avresti letti con cura e poi avresti detto la verità. Nel primo c'erano la mia gioventù e la tua Lazio. C'era tanta gente in libreria e a me luccicavano gli occhi, anche se non era un momento felice. "Due soli" ha brillato di amore e di calcio, che spesso si confondono o si fondono, non so. Non ti ho mai detto quanto ti sono stato grato quel giorno. Poi c'è stata "Controstoria della Lazio" e lì dentro tu sei citato venti volte, non le ho contate, me lo dice World. E averti al fianco è stato come un timbro di autenticità. Avevi messo nelle pagine dei post-it gialli, forse per ricordarti gli argomenti. E avevi una cosa da dirmi, subito, urgente. C'era un'omissione in quel libro: avevo scritto che avevi pagato tu per tutti nel caso del passaporto falso di Veron, con qualche mese di inibizione. "Ma ti sei dimenticato che sono stato assolto in tribunale per non aver commesso il fatto..." Avevi ragione tu, stavolta. In realtà per me era scontato, era solo un passaggio di un discorso più ampio, quello della tua inibizione, c'era solo il concetto di "chi paga per tutti". E tu hai sempre pagato il conto per eccesso d'amore. Un amore che abbiamo in comune.
Ecco, io non so se sia giusto chiamarti Amico. Se l'Amico è quello d'infanzia, quello di una vita, è uno con cui vai a pranzo insieme, che frequenti con la famiglia, con cui ti confidi - fin dove può arrivare la confidenza nel genere maschile - con cui insomma ti vedi e ti senti di continuo... bè direi proprio di no. Se Amico è però uno che hai conosciuto bene e a cui ti senti vicino, come stile, come ideali, nel cui animo ti specchi e ti rivedi per dirla tutta... bè io dalla mia parte dico di sì, mi assolvo per il parolone. Spero che tu veda in me quello che ho visto io in te: l'Uomo che lotta per certi valori, che non sono politica né filosofia, sono più semplici e forse un po' più rari oggi di quanto lo fossero in quel remoto '74. Tu campione d'Italia, che scappavi via dalla festa perché ti nasceva un figlio. Io giovane universitario, impossibilitato a fare invasione di campo come tutti per via di un lavoro che mi chiamava proprio di domenica pomeriggio.
Maledette, certe domeniche pomeriggio. Io non ricordo le piccole cose, ma le grandi sì. E la notizia che Giorgio era morto - sono passati già sei anni e mezzo - mi arrivò allora alla stessa ora di ieri. Di una domenica maledetta, che allora beffardamente coincideva con un improbabile primo d'aprile. La differenza è che ieri ho potuto sedermi sul divano e chiudere gli occhi. Quel giorno di sei anni fa guidavo la redazione sportiva di un quotidiano importante, ero immerso in quel lavoro domenicale che ti succhia la linfa, con il tempo che scorre inesorabile e scandisce i minuti che mancano all'inesorabile avvio della rotativa, insomma stavo "facendo il giornale" come si dice in gergo, e mi cadde addosso il mondo, tra l'incredulità prima, il dolore poi, coniugati con l'obbligo di andare avanti di corsa. Cambiare il giornale, scrivere, non piangere per carità...
Per me siete morti entrambi alle due e mezza. Tu esattamente come Giorgio. Non importa l'orario esatto e non voglio saperlo. Conta l'ora - per le grandi cose - in cui le vieni a sapere. Alle due e mezza del pomeriggio di una domenica. Delle mie, delle nostre domeniche. Quando si giocava tutti alla stessa ora e il calcio era minuto per minuto e mai avremmo immaginato, noi che eravamo già stati sulla luna, che il rituale sacro sarebbe cambiato e che un giorno la radiolina si sarebbe tramutata in tv, e la tv in smartphone. Alle due e mezza. E per me è un agghiacciante segno del destino. Perfino romantico, però...
Sai Felice, sono andato a vedere su LazioWiki, che è la nostra enciclopedia e il nostro vanto, se ci fosse stato nella Vostra Storia, di quella Lazio intendo, un 16 dicembre felice. Non so perché l'ho fatto, un presentimento o un caso. Bene, il 16 dicembre del '73, esattamente 45 anni fa, tu e Giorgio batteste il Napoli capolista all'Olimpico e lo raggiungeste in testa insieme alla Juventus. Di fatto dando il via a quello straordinario sprint scudetto. Che poi stravinceste. Segnò Giorgio di ginocchio, spingendo in rete avversari e sogni, con la forza del Rodomonte che era. Tu, in compenso, parasti tutto, volando da un palo all'altro, come spesso ti toccava, per arginare Braglia e Juliano. Parasti tutto come nel derby che vincesti da solo nel nome di Maestrelli che moriva e che ti valse uno di quei 10 in pagella che ancora ti emoziona al solo rievocarlo.
Penso che le coincidenze esistano, certo. E anche i segnali. Che la nostra esistenza abbia paletti precisi. Morire nel giorno in cui hai vissuto grandi gioie e grandi emozioni in fondo è un destino accettabile, anche se sono passati solo 45 anni dei 100 che speravamo ancora per te.
Domani non è domenica. E' un triste martedì. Alle 14 sarai in Chiesa e so che la Chiesa è importante per te come un rettangolo verde. Ma non è domenica, non ci sarà "papà Lenzini" a segnarti il rigore propiziatorio. Poi uscirai da lì e sparirai alla vista di noi umani. Per andarti ad allenare come si fa di martedì. C'è un'altra partita, presto, da qualche parte. E' così verde quel campo che abbaglia gli occhi. Sembra quello che ci incantava da bambini ogni volta che arrivavamo in cima ai gradini dello stadio. E' così verde che ti fa scendere le lacrime. E adesso chi le ferma più...
Lo so che lo sai cos'è un tweet, caro Felice. Come so che sei rimasto fermo al telefono, quello purissimo del "pronto chi parla". Di messaggi il minimo indispensabile, whatsapp una parola senza significato e forse senza senso.
Che vuoi farci. Non avevo un computer sotto mano e neanche la forza di farci scorrere su le uniche due dita che ne hanno confidenza. L'ho saputo alle 14,28, perché della nostra vita oggi resta traccia indelebile nella taratura degli strumenti. E ho scritto di getto quello che mi ha suggerito il cuore quando è già stretto e tu lo strizzi ancora in 140 caratteri, o quelli che sono, non lo so più.
Che stavi per lasciarci lo sapevo. Perché tra laziali siamo abituati a far la conta, più per scaramanzia che per altro. "Lo sai che Felice e Mario stanno malissimo...", mi disse non so chi. E io Mario lo sentivo spesso per radio e gli sentivo la malattia nella voce. Ma a te non ti sentivo proprio più. E per questo ci stavo più male.
Io ho un freno a mano di fronte alla malattia degli altri. Questo è un blog e posso parlarci dentro come fossi steso sul lettino dello psicanalista, esperienza che non ho mai fatto. Forse più che un freno è un airbag salvavita. Penso a cosa vorrei se fossi io quello da compiangere. A cosa risponderei a uno che ti chiede, compunto e timoroso, "come stai?". A come reagirei se uno - che non sia un familiare stretto, è ovvio - volesse venirmi a trovare. Non ho risposte certe. Ma intanto io cerco di non disturbare. Di non invadere. Avrei dovuto telefonarti e dirti quel banale e irriverente "Come stai?" e chiederti se fossi disposto a vedermi, mai successo fuori da eventi ufficiali: ti avrei allarmato, penso. "E questo perché vuole vedermi? Allora sto messo male davvero..."
Poi Mario ci ha lasciati l'ultimo giorno di agosto. Ho scoperto solo oggi che aveva un mese esatto meno di te. E il vostro percorso lo avete compiuto insieme per intero, partendo dalla nebbia di lassù e respirando il sole di qua in mezzo, Mario anche il mare che forse tu amavi di meno, neanche questo so per certo. Respirando la Lazio, che vi ha incantato entrambi, una sirena scudettata che vi ha incatenato qui, tra la gente che vi ha amato e che non dimentica.
Per entrambi avevo sperato nel "miracolo Gigi Riva", che tu non sai cos'è, come whatsapp... E' una cosetta mia e dei miei amici più stretti: mi avevano detto, diversi anni fa, che Riva stava per morire e io che faccio il giornalista e ho tanti amici calciofili lo avevo rivelato sottovoce a qualcuno, perché ogni tanto ci si vanta di sapere e pazienza se sono notizie tristi. Gigi è sempre lì, rombo di tuono, e devo avergli allungato e di molto la vita. I miei amici invece ancora mi sfottono... E stavolta la scaramanzia non ha funzionato.
Ho pianto un po' solo stamattina. Nel dormiveglia di una notte agitata. Solo un paio di lacrime nel rimetterti a fuoco. Ma qui non scriverò della tua vita e della tua intensa carriera pubblica, penso lo abbiano fatto frettolosamente altri, non ho letto i giornali. Solo un paio di lacrime. Quelle che tu ingoiavi ogni volta che ti chiamavano a parlare di chi non c'era più, fosse Tommaso o fosse Giorgio. Tommaso più di Giorgio, perché è stato il primo dolore. E il primo dolore, quando perdi un padre, ti ghiaccia l'anima e te la scioglie nel tempo, te lo diluisce.
Ho riletto quello che ho scritto in quel tweet, in quei due minuti di apnea dopo aver saputo.
Che eri il mio idolo quando prima dei vent'anni mi (ci) hai regalato la gioia più grande in assoluto della mia vita di passione pallonara. Un idolo in condominio perché nel calcio si vince di squadra ed è la squadra che diventa idolo. Per me non sarà mai la Lazio di Chinaglia e Wilson, o tua e di Cecco, o del mio coetaneo e omonimo Vincenzo. Sarà la Lazio, intesa nella sua purissima essenza. In questo senso ho scritto che tu sei la Lazio. Ho scritto "sei stato" ma è stata la fretta, l'urgenza di espandere il dolore o meglio di lenirlo condividendolo.
Poi che sei stato il tecnico con cui confrontarmi. E questo riguarda la nostra maturità. Io giornalista di sport. Tu dirigente, ma prima esperto di calcio, perché nel calcio hai fatto tutto, portiere, allenatore, perfino facente funzione di presidente. Io non ho memoria per le cose piccole e quindi non mi ricordo quando ci siamo presentati, quando ti ho stretto quella mano prodigiosa la prima volta. Forse c'era Giorgio presidente e io ero poco più che un apprendista a Monte Zebio o a Tor di Quinto, ovvero nel mio personale paese delle meraviglie. Però ricordo le cose grandi. Le telefonate che ti facevo per un'intervista o quelle che mi facevi tu per commentare quello che scrivevo. Partivi da lontano, dopo aver alzato la cornetta di getto, io lo so. Per dirmi che condividevi tutto ma... Poi c'era un ma, un dettaglio, un qualcosa che mancava, un aggettivo magari. Ti accendevi pian piano, come hai sempre fatto. Ti infervoravi in ogni discussione, come l'ottimo avvocato che sei. Credo di averti fatto un regalo ogni volta che scrivevo, e ci credevo sul serio, che la Lazio avrebbe avuto bisogno di più laziali dentro. E non parlo di Lotito, erano ancora i tempi di Cragnotti. E tu eri già dentro, c'eri già stato con Chinaglia, rimettendoci in denaro e in salute. Ne avresti voluti altri come te, come Bob. Coinvolti nell'avventura. Già, il tuo amico Bob, il mio amato Lovati...
Questa voglio raccontarla. Voglio sfotterti anch'io, come i miei amici fanno con me per la storia di Riva. Venni a Formello e Formello era appena sorta. Il '98 forse, l'ho già detto, ho poca memoria. Tu e Bob avevate uffici limitrofi. Lui osservatore credo, perfetto relazionatore di prossime avversarie. Tu al Settore Giovanile, responsabile di speranze a venire. Sembravo Giovinco in mezzo a voi portieri lungagnoni e credo di essermi trattenuto per ore perché non mi stancavo mai di ascoltarvi, specie quando vi punzecchiavate in mezzo dialetto, milanesacci che non siete altro. Mi dicesti: "Conosci Domizzi, il nostro giovane centrale? Beh, vedrai. Lui si mangia pure Nesta". Sbagliasti tu o si perse lui, questo non lo so. Anche se gioca ancora, ho visto, a 38 anni. E ha fatto la sua brava carriera, anche se Nesta non lo ha mai raggiunto. E lo so che adesso mi dedicherai un sermoncino da qualche parte lassù per argomentare le tue ragioni. Causa persa, amico mio...
Amico. Nel tweet l'ho scritto con la A maiuscola. Ma subito mi sono chiesto se non fosse magari solo una mia suggestione. E' vero, tu mi hai accompagnato, sei stato testimone, di due momenti fondamentali di un'altra parte della mia vita. Hai presentato i miei primi due libri. L'ho chiesto a te e non potevo chiederlo ad altri che a te. Perché sapevo che li avresti letti con cura e poi avresti detto la verità. Nel primo c'erano la mia gioventù e la tua Lazio. C'era tanta gente in libreria e a me luccicavano gli occhi, anche se non era un momento felice. "Due soli" ha brillato di amore e di calcio, che spesso si confondono o si fondono, non so. Non ti ho mai detto quanto ti sono stato grato quel giorno. Poi c'è stata "Controstoria della Lazio" e lì dentro tu sei citato venti volte, non le ho contate, me lo dice World. E averti al fianco è stato come un timbro di autenticità. Avevi messo nelle pagine dei post-it gialli, forse per ricordarti gli argomenti. E avevi una cosa da dirmi, subito, urgente. C'era un'omissione in quel libro: avevo scritto che avevi pagato tu per tutti nel caso del passaporto falso di Veron, con qualche mese di inibizione. "Ma ti sei dimenticato che sono stato assolto in tribunale per non aver commesso il fatto..." Avevi ragione tu, stavolta. In realtà per me era scontato, era solo un passaggio di un discorso più ampio, quello della tua inibizione, c'era solo il concetto di "chi paga per tutti". E tu hai sempre pagato il conto per eccesso d'amore. Un amore che abbiamo in comune.
Ecco, io non so se sia giusto chiamarti Amico. Se l'Amico è quello d'infanzia, quello di una vita, è uno con cui vai a pranzo insieme, che frequenti con la famiglia, con cui ti confidi - fin dove può arrivare la confidenza nel genere maschile - con cui insomma ti vedi e ti senti di continuo... bè direi proprio di no. Se Amico è però uno che hai conosciuto bene e a cui ti senti vicino, come stile, come ideali, nel cui animo ti specchi e ti rivedi per dirla tutta... bè io dalla mia parte dico di sì, mi assolvo per il parolone. Spero che tu veda in me quello che ho visto io in te: l'Uomo che lotta per certi valori, che non sono politica né filosofia, sono più semplici e forse un po' più rari oggi di quanto lo fossero in quel remoto '74. Tu campione d'Italia, che scappavi via dalla festa perché ti nasceva un figlio. Io giovane universitario, impossibilitato a fare invasione di campo come tutti per via di un lavoro che mi chiamava proprio di domenica pomeriggio.
Maledette, certe domeniche pomeriggio. Io non ricordo le piccole cose, ma le grandi sì. E la notizia che Giorgio era morto - sono passati già sei anni e mezzo - mi arrivò allora alla stessa ora di ieri. Di una domenica maledetta, che allora beffardamente coincideva con un improbabile primo d'aprile. La differenza è che ieri ho potuto sedermi sul divano e chiudere gli occhi. Quel giorno di sei anni fa guidavo la redazione sportiva di un quotidiano importante, ero immerso in quel lavoro domenicale che ti succhia la linfa, con il tempo che scorre inesorabile e scandisce i minuti che mancano all'inesorabile avvio della rotativa, insomma stavo "facendo il giornale" come si dice in gergo, e mi cadde addosso il mondo, tra l'incredulità prima, il dolore poi, coniugati con l'obbligo di andare avanti di corsa. Cambiare il giornale, scrivere, non piangere per carità...
Per me siete morti entrambi alle due e mezza. Tu esattamente come Giorgio. Non importa l'orario esatto e non voglio saperlo. Conta l'ora - per le grandi cose - in cui le vieni a sapere. Alle due e mezza del pomeriggio di una domenica. Delle mie, delle nostre domeniche. Quando si giocava tutti alla stessa ora e il calcio era minuto per minuto e mai avremmo immaginato, noi che eravamo già stati sulla luna, che il rituale sacro sarebbe cambiato e che un giorno la radiolina si sarebbe tramutata in tv, e la tv in smartphone. Alle due e mezza. E per me è un agghiacciante segno del destino. Perfino romantico, però...
Sai Felice, sono andato a vedere su LazioWiki, che è la nostra enciclopedia e il nostro vanto, se ci fosse stato nella Vostra Storia, di quella Lazio intendo, un 16 dicembre felice. Non so perché l'ho fatto, un presentimento o un caso. Bene, il 16 dicembre del '73, esattamente 45 anni fa, tu e Giorgio batteste il Napoli capolista all'Olimpico e lo raggiungeste in testa insieme alla Juventus. Di fatto dando il via a quello straordinario sprint scudetto. Che poi stravinceste. Segnò Giorgio di ginocchio, spingendo in rete avversari e sogni, con la forza del Rodomonte che era. Tu, in compenso, parasti tutto, volando da un palo all'altro, come spesso ti toccava, per arginare Braglia e Juliano. Parasti tutto come nel derby che vincesti da solo nel nome di Maestrelli che moriva e che ti valse uno di quei 10 in pagella che ancora ti emoziona al solo rievocarlo.
Penso che le coincidenze esistano, certo. E anche i segnali. Che la nostra esistenza abbia paletti precisi. Morire nel giorno in cui hai vissuto grandi gioie e grandi emozioni in fondo è un destino accettabile, anche se sono passati solo 45 anni dei 100 che speravamo ancora per te.
Domani non è domenica. E' un triste martedì. Alle 14 sarai in Chiesa e so che la Chiesa è importante per te come un rettangolo verde. Ma non è domenica, non ci sarà "papà Lenzini" a segnarti il rigore propiziatorio. Poi uscirai da lì e sparirai alla vista di noi umani. Per andarti ad allenare come si fa di martedì. C'è un'altra partita, presto, da qualche parte. E' così verde quel campo che abbaglia gli occhi. Sembra quello che ci incantava da bambini ogni volta che arrivavamo in cima ai gradini dello stadio. E' così verde che ti fa scendere le lacrime. E adesso chi le ferma più...
Caro Vincenzo, ho letto tutto d'un fiato il tuo "ricordo" di Felice. E' talmente bello, delicato, toccante, vero che a metà del testo mi son venute le lacrime agli occhi. I filosofi dicevano che quando ci si emoziona significa che l'opera d'arte è riuscita bene. Non ti dico altro. Ti abbraccio come si fa da veri amici, da compagni di viaggio, da gente che conosce ancora i sentimenti.
RispondiEliminaSilio
Ciao Silio, detto da te questo commento mi inorgoglisce. Un grande abbraccio
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