I giornalisti e le verità "epocali" di Totti


Lo dico subito: ho ascoltato la conferenza stampa di Totti, trasmessa addirittura in diretta dal cosiddetto “servizio pubblico”, aspettandomi uno dei consueti bluff mediatici, il timbro giallo e rosso dei megatifosi in doppio petto che celebrasse fino alla fine la fedeltà di un uomo alla sua gente, uno dei pochi immaginifici trofei che la Roma attuale possa vantare.
Tutto potevo pensare tranne che cinque minuti dopo lo spegnimento delle telecamere dal Salone d’Onore del Coni – magnanimamente messo a disposizione dal più politico dei supertifosi cui accennavo prima – mi sarebbe venuta voglia di rimettermi al computer, davanti al mio blog, che utilizzo ormai con molta parsimonia,  per scriverci una riflessione. Senza stare ad ascoltare i vaniloqui già partiti su tutte le emittenti sportive o comunque cittadine, con cui “opinionisti” (termine che aborro, come direbbe il loro capostipite Mughini) e semplici tifosi staranno dando corso a una sorta di isteria collettiva.
Ho appena fatto in tempo a sentire “conferenza stampa epocale”, frase di un giornalista di questa generazione di giornalisti. E, solo per questo motivo, comprensibile, dunque accettabile, al di là della sua folle esagerazione. Ovvero per il motivo che “questi” giornalisti non hanno mai sentito un personaggio importante del calcio – un fresco personaggio importante, come di certo Francesco Totti è – dire senza troppi giri di parole la verità. La propria verità, ovvio. Ma aggiungerei, per mio conto, l’assai probabile verità. Verità però limitata a un rapporto: quello di Totti con il mondo romanista in generale e con ciascuno dei suoi componenti.
Badate: Totti non ha dovuto faticare affatto per raccontarla, questa verità. O meglio, questi scampoli di verità. Ha scoperchiato la più piccola delle pentole del mondo del calcio – che spero nessuno si ostini a considerare lindo o, nella sua vera accezione, “sportivo” – ovvero quello dei rapporti di potere dei singoli personaggi nell’ambito di un mondo che è di lavoro certo, ma che offre una visibilità e un prestigio a volte pari o addirittura superiore a quello delle più alte cariche dello Stato. Il calcio è l’oppio dei popoli, si è detto: Messi vale Bush, Ronaldo di certo è più conosciuto di Macron. Totti ha vinto pochissimo, viene apposta dipinto da una certa intellighenzia salottiera come uno che abbia vinto tanto almeno a Roma (e invece, come si sa, sono più i derby che ha perso che quelli che ha vinto), ma è di certo un personaggio che con la propria veracità illetterata, i suoi congiuntivi improbabili da barzelletta ma soprattutto con il proprio personale bagaglio tecnico ha sempre fatto simpatia, quindi audience.
Se Totti dunque descrive, a pochi minuti dall’uscita ufficiale dalla sede di Trigoria, la Roma come un covo di vipere, dove ci si accoltella nell’ombra, ci si fa lo sgambetto nei corridoi, si cerca l’attenzione e la considerazione del padrone attraverso la delazione, si cerca di far brillare ostinatamente l’io e mai il noi, in realtà ci racconta quello che già sappiamo. Ovvero quanto conosce benissimo chi abbia frequentato qualsiasi ambiente di lavoro, e prima ancora scolastico, di comitiva, di sport, perfino della bocciofila sotto casa. Gente che denigra gli altri, che colpisce alle spalle, che non rispetta le promesse e quando ha il potere lo sfrutta, il famoso martello con l’altro, il rivale, che deve, se vuole sopravvivere, farsi incudine.
Immagino che molti benpensanti siano rimasti colpiti da alcune affermazioni che saranno il cruccio dei romanisti almeno per qualche lustro: dirigenti che godevano dopo una sconfitta, giocatori che se la ridevano indifferenti invece di mostrare attaccamento alla maglia, mercenari legati solo ai propri guadagni. O da illazioni anche più specifiche, contro Baldissoni e Baldini (peraltro non dirigente a libro paga della Roma), contro Monchi che ha portato tra gli altri l’impalpabile Pastore. E ancora “questi” giornalisti, cresciuti e gonfiati a banalità dispensate urbi et orbi indifferentemente  a giornaloni e siti di quartiere, saranno rimasti increduli di fronte a certe rivelazioni: Conte non è venuto alla Roma quando ha capito della smobilitazione in corso; Pellegrini (anzi Lorenzo) ha telefonato all’ex capitano che si ammaina e Florenzi no;  su De Rossi mano sul fuoco, non sugli altri, complottisti probabili di cui si omette il nome; e quel Nainggolan ceduto giustamente perché “chi sbaglia paga”, tanto ormai è dell’Inter e qui non torna più.
Altri vi racconteranno dei brividi, dell’iperbole “avrei preferito morire oggi che lasciare la Roma”, che un tempo era roba di Patria ed Eroi, oggi è bandiera di squadra, neanche di città. Di tifosi bellissimi e inarrivabili, come ogni scarrafone che è bello ‘a mamma soia, che lui, Totti, non ha più voluto prendere in giro e se ha dovuto farlo per due anni da dirigente nullafacente è solo perché sperava in un domani migliore. Giusto, accettabile. Ma succede in tutti gli ambienti che qualcuno cerchi di cambiarlo dall’interno il proprio mondo di lavoro, fin quando si rende conto che è impossibile, che i mulini girano solo col vento che conta.
Non epocale, alquanto banale.
Ma – come dicevo – a me Totti stavolta non è dispiaciuto. Ovvero mi ha sorpreso. Ho sempre creduto, pur non avendolo incrociato che in qualche rara occasione, che sia un ragazzo semplice, fondamentalmente perbene, che troppo spesso si è lasciato manovrare e deviare. Una cosa soltanto gli rimprovererei, da laziale ovviamente: non aver mostrato in campo e fuori il debito rispetto per i rivali, come ha sempre fatto De Rossi almeno a parole. Quella necessità di rendersi coatto che ha rasentato la stupidità in tanti eccessi che uno sportivo vero avrebbe sinceramente evitato. E’ però profondamente vero quello che ha detto e ha lasciato intendere: è prima di tutto uomo di calcio e nessuno meglio di lui potrebbe fare il direttore tecnico della squadra che ama; lui è Totti e non ha bisogno di farsi un nome, chi lo ha lasciato nell’angolo due anni voleva delegittimarlo per crescere in visibilità propria; “deromanizzare” o meglio, più in generale, “deidentificare” una squadra di calcio, ovvero la passione stessa della gente, è il grave e rischioso errore che stanno compiendo alcuni club calcistici nostrani. Squadre Primavera imbottite di stranieri, dirigenti che non conoscono la storia del proprio club o arrivano da mondi lontanissimi con l’idea di sprovincializzare uno sport che è nato invece come patrimonio dei tifosi, sventolare di bandiere, “guerra” dei comuni, che ha il derby cittadino, regionale, interregionale che sia, come primo elemento del dna.
Qualcosa ha detto, Totti, e chissà quanto ha taciuto. Non certo quello, che con aria un tantino ricattatoria (tanto grossolana da apparire ingenua), minaccia di rivelare ancora sul marcio di Trigoria. Quello che molti calciatori si portano nella tomba, o che scrivono quando sono ormai dimenticati come fece Petrini un secolo fa a proposito del doping, delle partite truccate, del Palazzo e del mondo arbitrale. Ma Totti nel calcio vuole restarci, è normale, è la sua vita. Vuole tornare alla Roma per consumare come il Conte di Montecristo una rivincita, spegnere quanto oggi gli brucia nel cuore. Per questo non poteva dire niente di veramente  “epocale”. Ha detto quello che tanti calciatori prima di lui, almeno fino agli anni ‘70-80, raccontavano ai cronisti negli spogliatoi ogni domenica. Prima di essere imbavagliati dai soldi, dai contratti d’immagine, dalle minacce di isolamento, dalla convenienza, dal menefreghismo, dai ricatti.
Totti ha detto piccole verità in un mondo di bugiardi patentati. Per questo, per contrasto, per pura disabitudine, di questo applaudito show, passerella deliziosa per giornalisti-tifosi, si parlerà per un po’.  Ma non aspettatevi che si apra una strada nuova: l’omissione nel calcio odierno vale sempre molto più di un dribbling.




Commenti

  1. Condivido ogni parola. Non avevo dubbi che fossi assistito dal giusto equilibrio. Un abbraccio.

    RispondiElimina
  2. Cerracchio non sbaglia un colpo. Grande analisi. Peccato solo quei colori....

    RispondiElimina
  3. Grande Cerracchio, aggiungo da laziale che in nessun ambiente verrà mai fuori la verità assoluta (aspettiamo per esempio di conoscere i responsabili delle stragi in Italia),ma meglio morire che lasciare la Roma lo trovo davvero offensivo nei confronti dell'umanità perdente dove 3 miliardi almeno di persone non hanno l'acqua potabile...etc.con stima

    RispondiElimina
  4. Anzitutto complimenti per la disamina di Cerracchio sempre profonda. Poi su Totti vorrei solo dire che non mi è stato mai simpatico. Un personaggio profondamente ignorante spocchioso e per niente sportivo (ricordo...e spesso lo dimentichiamo, lo sputo in faccia all'avversario danese, il calcio da dietro a far male a Balotelli e tutti quei comportamenti antisportivi nei derby peraltro spesso persi). Ecco è proprio il caso di dire .."chi è causa del suo mal...."E finiamola con tutta sta retorica. Lo sport vero è tutta un'altra cosa!

    RispondiElimina

Posta un commento