Ieri sera, dopo aver visto in tv Atletico-Real e mentre scorreva il derby di Manchester, sono andato - cosa che faccio di rado - su Twitter per passeggiare tra i social. Mi sono capitati alcuni tweet di tifosi e comunicatori laziali che, invece di parlare di campo, si prodigavano a deridere chi tra gli stessi laziali aveva evidentemente criticato la prestazione dei biancocelesti nelle ultime partite perse abbastanza fragorosamente.
Aggiungo che mi era capitato di ascoltare qualche commento radiofonico alla fine dei due "mercati", quello estivo e quello invernale, e che mi ero imbattuto, forse per sfortuna, in opinionisti che non mancavano di esaltare l'operato della società. Io non conoscevo Muriqui, come in passato non conoscevo Escalante (uno che in Spagna è sempre stato in squadre minori), mi piaceva Reina, pensavo a Fares come una buona riserva, speravo "al buio" in Andreas Pereira, ma portavo nel cuore due certezze: la necessità assoluta di almeno due difensori da Champions, l'opportunità di trovare subito le alternative a quattro giocatori cui siamo tutti legatissimi, ma che sono entrati in età pensionabile: i grandissimi Radu, Lulic, Parolo e Lucas Leiva. Non c'è bisogno che aggiunga che nessuno dei due auspìci ha avuto seguito. Ma ho ascoltato con sconcerto alcuni giornalisti che seguono quotidianamente la Lazio applaudire a quanto era stato raggiunto: Hoedt e poi Musacchio; non un solo giovane all'orizzonte (neanche dalla Primavera che mi dicono piuttosto a pezzi). Il tutto ben sapendo che Luis Felipe aveva finito la stagione e l'unica alternativa era rimasto Patric. Un suicidio.
Badate ai termini: ho scritto "giornalisti che seguono la Lazio". Il che non vuol dire che siano necessariamente della Lazio. La precisazione è importante: perché un tifoso ha a cuore le sorti della propria squadra, quando perde ci sta male e cerca medicine per farla guarire; uno che segue una squadra solo per lavoro a fine partita chiude il taccuino e chi s'è visto s'è visto, l'importante è mantenere buone relazioni con società, allenatore e giocatori (hai visto mai il premio di un'intervista o di una notizia esclusive) e dare più guazza possibile ai tifosi, magari ricordando "sempre e solo" tempi peggiori. Strategie che ricordano quelle dei partiti politici, che si proclamano vincitori anche quando perdono.
Così, dicevo, continuando la storia, mi è venuto di getto di scrivere un tweet. Questo:Il vero problema della #SsLazio da un anno a questa parte è che non esiste più una critica (costruttiva). Società impeccabile, squadra perfetta chi dice il contrario non è laziale... Eppure per un secolo i laziali sono stati diversi: sana autocritica contro ridicola supponenza
Non ce l'avevo coi tifosi, che tifano come meglio credono: sono contento per chi si accontenta, soffrirà di meno e comunque il calcio è uno svago e non un dramma.
Non ce l'ho con la società: Lotito fa i propri interessi e i trofei vinti gli garantiscono una larga base di consenso. In più, nessuno vuole o può togliergli la Lazio.
Non ce l'ho con l'allenatore e con i giocatori che saranno tutti bravissimi ragazzi. Non è colpa loro, come per tutti quelli che li hanno preceduti, se alcuni non sono proprio all'altezza dei vertici del calcio italiano (che pure è di molto inferiore a quello di Germania, Spagna e Inghilterra). Li hanno scelti, li pagano, loro si impegnano. E alla fin fine, una stagione va meglio, un'altra peggio, l'importante è portare a casa la pagnotta.
Ma manca di onestà intellettuale chi, a fronte di risultati deludenti, vuole sostenere per forza che niente si poteva fare di più. E' questo il compito del giornalista sportivo, a garanzia proprio dei tifosi, che non hanno parola, ancor meno quando lo stadio gli è vietato.
Parliamo di due piani completamente diversi, confusi per lo più in buona fede, ma secondo me a volte appositamente strumentalizzati. I tifosi - e ancor prima in verità dovrebbe farlo la società - fanno bene a indignarsi e a reagire agli attacchi che arrivano da fuori: penso a certi quotidiani "politicamente" avversi e purtroppo potenti, a certi servizi televisivi vomitevoli, alla propaganda smaccatamente tifosa e in gran parte giornalistica in favore della squadra concittadina, che - ricorderete - nacque dal connubio e dalla successiva fusione di ben sette compagini della capitale e quindi dal momento stesso della nascita nel 1927 numericamente avvantaggiata. Laddove la Lazio non era solo calcio ma Sport, nel senso più elevato del termine. Non è un caso che si facciano serie televisive su Totti e non su Chinaglia, per esempio, che almeno come vita la ebbe, da emigrato, ben più avventurosa. Lo sappiamo ma dovremmo essere superiori, come per l'ultima novantina d'anni lo sono stati i nostri predecessori.
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