Quel sesto posto firmato Inzaghi

 

Perso il derby più ininfluente della Storia e archiviata la stagione con un sesto posto che vale la B d’Europa - meglio di niente, qualcuno andrà in C o magari neanche quello – mi pare di capire che i tifosi della Lazio si apprestino a dividersi sul futuro di Simone Inzaghi. A chi lo vorrebbe nuovo Ferguson, ovvero manager a vita per conclamata lazialità e indubbia capacità, si contrappone una fazione che considera chiuso il ciclo e che va ovviamente gonfiandosi nel numero visto il consueto deludente finale di stagione, in cui si finisce per ancorarsi a quanto già raggiunto, l’Europa minima appunto, avendo visto sfuggire traguardi più ambìti.

Francamente il dibattito mi affascina fino a un certo punto… Stando idealmente dalla parte di chi considera i giocatori molto più importanti degli allenatori. E fermissimo nella convinzione che nel calcio attuale chi più spende meglio spende: badate però, non nel senso di svenarsi per la meteora di passaggio, ma andando a cercare chi ha già mostrato quanto vale (e per questo va pagato) o piombando per primi sul grande prospetto (che in tempi di globalizzazione significa vincere aste economiche consistenti). Klose e Milinkovic stanno lì a mostrare le due strade che Lotito e Tare hanno già saputo seguire, ma che hanno perso in altre decine e decine di circostanze, compreso tutto il mercato dell’ultimo anno e mezzo, pescando i giocatori più improbabili solo perché a scadenza di contratto o sponsorizzati da procuratori compiacenti.

Neanche mi va di polemizzare con i legionari del “tutto va bene”, “non si poteva fare di più”, ovvero coi paladini dell’indifendibile e con gli scudettati del bilancio. Mettiamoci in testa una volta per tutte che, in questo calcio dei diritti tv e delle superleghe a venire, nessun grande club fallirà mai fin quando il suo proprietario sarà pronto a tirar fuori denaro di tasca sua: altro che fair play, basta il portafogli, come del resto è sempre stato. Gli investitori stranieri hanno già in mano un po’ di club, l’Inter campione, Milan, Roma, Fiorentina, perfino Spezia, in ordine sparso ma se ci fate caso nel gruppo Champions ci sono ormai stabilmente l’Atalanta di Percassi (ex calciatore) e il Napoli di De Laurentiis, che saranno ricchi imprenditori ma non sono magnati senza fondo: magari capiscono sia di conti che di pallone.

Qualcuno mi dice così a memoria un recente acquisto sbagliato dell’Atalanta? O la grande delusione del Napoli? C’entra Gasperini? Lo so che vi è antipatico, ma hai voglia se c’entra. Ha lasciato andar via Papu Gomez e non gli è cambiata una virgola. C’entra Gattuso? Forse un po’ meno, ma è certo che sia stato lui a pretendere Osimhen, tampinandolo di telefonate e bruciando così Mourinho e il Tottenham. I cento milioni ce li ha messi il suo presidente, sì sono cento compreso l’ingaggio quadriennale. Per inciso il Lille, venduto Osimhen, ha quasi vinto il campionato francese avendo speso buona parte di quei soldi per un altro centravanti di peso, quel Burak Yilmaz, che una volta anche la Lazio aveva seguito fermandosi come spesso le capita agli ultimi spiccioli, all’estremo cavillo.

Atalanta e Napoli, italianissime nella conduzione, sono diversissime nell’impostazione. Eh, lo so che il laziale odia entrambe (ma diciamoci la verità: in Italia ormai si odia e basta) e che l’esempio non vi va giù. Ma parliamo di calcio con onestà. L’Atalanta gioca da stropicciarsi gli occhi perché Gasperini se li sceglie giovani, tecnici, votati allo stakanovismo, ogni pedina al proprio posto e se uno cade ce n’è un altro già pronto a subentrargli. Il Napoli si basa su giocatori di grande rendimento, che gli consentono di cambiare gioco e allenatore in qualsiasi momento: solo in attacco può contare su Osimhen, Insigne e Mertens, più Lozano, Politano e Petagna. De Laurentiis avrà mille difetti, sarà più odioso di Gasperini, ma li ha pagati e li paga, e in ogni ruolo ha due titolari interscambiabili.

Dove vado a parare? Erano almeno cinque le squadre attrezzate per vincere lo scudetto e arrivare in Champions. Inter, Milan e Juventus (che forse ne resterà fuori), Atalanta e Napoli. Per cautela non ci metterò la Roma, che pure ha in organico giocatori di alto livello. La Lazio è arrivata dietro quelle cinque, in Coppa Italia è stata eliminata fuori casa dall’Atalanta finalista (e secondo me probabile vincitrice), ha disputato un più che onesto girone di Champions con mezza squadra a letto col Covid. E’ crollata nel finale – non ci piove – non potendo cambiare uomini o schemi: sempre quelli, gli uni e gli altri.

Pensate sempre – dico a quelli che “si è fatto il massimo” sul mercato e che “un tempo c’erano solo la Lazietta e il saliscendi dalla B” – che sia colpa di Inzaghi? Che con…vabbè non farò nomi, metteteceli voi, avrebbe potuto ottenere di più. Dico, voltandosi e guardando la panchina? Provate a chiedere a Conte, Pioli, Gasperini, Gattuso ma sì pure a Pirlo perché no, chi schiererebbero titolari nelle loro squadre. Io dico Milinkovic e Immobile. Stop. Pure con un po’ di fatica.

Prometto che non mi getterò sotto un treno se Inzaghi andrà via. Liberi di volere De Zerbi (ma va in Ucraina, pare), Juric, perfino Italiano, o magari Gattuso se il Napoli lo licenzia, però ognuno di loro sarebbe l’alibi per cambiare il manico tenendo la vecchia padella mezza bruciacchiata. Ancora affidabile per piccoli piatti ma troppo usurata per una portata da banchetto. A chiunque ne diventi il manico andrebbe invece fornita la padella adatta al suo gioco. E’ così che si costruiscono le squadre. Ma c’è quello in scadenza e quell’altro che è appena guarito da un infortunio, uno che non ha mai giocato però viene dalla Premier, il canterano che ha litigato, quello che da piccolo paragonavano a Messi… Poi qualcuno li metterà insieme e se arriva sesto diremo che non ha saputo valorizzarli.
Lo diremo, beninteso, a beneficio di chi della Lazio può fare sempre ciò che vuole. O ciò che gli serve. 


 

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