"E' la stampa, bellezza!", ovvero come ti cambio lo spirito laziale...

«È la stampa, bellezza! E tu non puoi farci niente! Niente!».
La ricordate? Resta una delle battute cinematografiche più note di tutti i tempi. La dice Ed Hutcheson-Humphrey Bogart alla fine del film di Richard Brooks Deadline – U.S.A. (in italiano: L’ultima minaccia). Era il 1952, settant'anni fa.

Già, a pensarci bene, in settant'anni come è cambiata la stampa... Come si è asservita al Potere, ogni giorno un gradino di più, a prescindere dalla dittorialità dei regimi. Come il giornalista puro, l'idealista, fa fatica a battersi perché la notizia sia completa e l'opinione libera!
Come - e questo ci interessa di più - la stampa si è adeguata ai Social, penetrandoli e assecondandoli, contribuendo, in un bombardamento ormai nuclearizzato di mezze verità o complete falsità, a cambiarci dentro (o a provarci, almeno), a intontirci, a farci perdere a volte qualsiasi filo logico.

No, non pensate a grandi complotti. A una mano nera che comanda il mondo. C'era una volta, c'è sempre stata, la "strategia della tensione". C'è una locuzione latina, al proposito, "Divide et impera" (letteralmente "Dividi e comanda"), di attribuzione incerta ma nella pratica utilizzata dagli stessi romani quando tenevano ben divisi i territori conquistati al fine di impedire che i loro abitanti si coalizzassero. Succede che questa sia una tecnica adottata da sempre nei vari settori, anche nei più piccoli, da chi, essendo al comando o preponderante nel numero, vuole trarne un ulteriore e decisivo vantaggio.

Sull'argomento, capirete, sono stati pubblicati trattati storico-filosofici in abbondanza. E vi sembrerà balzana questa lunga premessa per arrivare solo a parlare di...Lazio, intesa come società e squadra di calcio.

Il fatto è che la stampa - non faccio distinzioni e in essa mi coinvolgo di persona - è riuscita a cambiare nel tempo, erodendolo, lo spirito dello sportivo laziale prima e poi del semplice tifoso. Che per il primo secolo di vita se l'era cavata benissimo da solo. Esercitando pienamente la propria doppia funzione: di affetto e di stimolo, di sostegno e di critica. Il tifoso laziale non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno pur restando, per inferiorità di numero, l'ormai celebre "scozzese in terra d'Inghilterra", il Bravehearth della situazione. Cuore impavido sempre. Molto spesso però, più che altro alla romana, un Pasquino disincantato e pungente, uno spirito libero, pronto a difendere la Lazio nelle discussioni da bar, a contrattaccare con gli sfottò, ma soprattuto sempre lucido nel non farsi buggerare da facili promesse mai mantenute, a non farsi impallinare dal cosiddetto fuoco amico.
Vi riconoscete in questa descrizione? Io no, non più.

Che la stampa - dico in generale - sia stata sempre, congenitamente, contro la Lazio, è storia nota tra di noi. Lazio prima simbolo di ricca-borghesia, ad onta delle origini popolane e fiumarole; Lazio poi divenuta "burina", pur essendo romana di generazioni, nell'immaginario popolare dei filmetti anni '60; Lazio dello scudetto con le pistole; Lazio delle scommesse e degli imbrogli; Lazio dei crack finanziari; Lazio della curva violenta;  Lazio fascista, che ci sta sempre bene ed è un biglietto da visita utilissimo da esibire in casa e all'estero. Siamo stati sempre scomodi e per questo solo chi ci frequenta e ci conosce - alcuni allenatori e molti giocatori - alla fine immancabilmente si affeziona. Perché non siamo il male, come vanno scrivendo o sproloquiando.

Problema non ci sarebbe, dunque, se non fosse che questo stillicidio, prolungato all'infinito dalla faziosità delle tv, delle radio e dei social media, sta inesorabilmente cambiando questa nostra natura pasquinesca. Vedo e sento gente laziale imbestialirsi per una telecronaca Rai che attacca ignobilmente Immobile (come fece a suo tempo con Chinaglia) o perché la combriccola scamiciata di Caressa intorno a un tavolo Sky ha concionato per ore di JuvInteMilaNapRom e perfino del Toro di patron Cairo, colui che tira malamente i fili di una volta prestigiosa ed equanime Gazzetta, per poi dedicare due minuti due magari a una vittoria eclatante della Lazio. State attenti perché è un tranello. Ci nascondono la luna con il dito.

Guardate che succede quando la Lazio perde. Non ci fanno su il drammone, no, fateci caso. Sono sempre due minuti, una marginale notizia di cronaca, magari dicono pure che meritava qualcosina di più. Le pagelle sono perfino generose. Perché una Lazio che perde, che magari resta fuori dall'Europa, che se ne sta lì a centroclassifica senza nemmeno il primato cittadino è quello che sognano in tanti. Va benissimo a tutti, meno che ai laziali, immagino e spero. Lotito diventa quasi un simpaticone, è un personaggio naif e se non rinforza mai la squadra meglio ancora, pat pat sulla spalla e si può andare avanti all'infinito, come con Ferrero, Preziosi, questi che fanno i presidenti per mestiere e principalmente per guadagno.

E' la Lazio che vince quella che disturberebbe il manovratore. Abbiamo visto come sanno scatenarsi per un buuh all'avversario, per il saluto romano di uno che tra parentesi non è tecnicamente "della Lazio", per una scritta indecente (e hai voglia a segnalare quelle ricorrenti che insultano una vittima della violenza avversa come Vincenzo Paparelli...), per una partita vinta a tempo scaduto in tempo di Covid e di tamponi veri o fasulli. Allora Lotito, per lesa maestà, ridiventa di botto il nemico, quello che non può sedere in Consiglio Federale, quello che va escluso dal consesso calciofilo. Ma soprattutto va penalizzata la Lazio, che è quello che brucia, che può far male davvero ai tifosi, che riesce a farli disamorare. Bombardati per ridurli al silenzio: approfittando non delle carenze tecniche (perché quello sarebbe il punto, parlando di calcio) ma di quelle sociali, della ingenuità o meglio della stupidità di pochi per colpire tutti al bersaglio grosso dell'immagine, della reputazione. Come con la recente riproposizione, artatamente contraffatta dallo stesso protagonista (l'ex portiere Malgioglio), di un brutto episodio di sputo sulla maglia e di uno striscione ignobile mai davvero scritto e forse neanche mai pensato.

Ho un ricordo personale di simili daitribe nella redazione del Messaggero, quando un altro striscione, stavolta vero, esposto in curva sulla "Tigre Arkan" per far piacere a Mihajlovic divenne oggetto di due paginate di sdegno. E di altre decine di massi gettati tra le rotaie della Lazio stravincente di Cragnotti con l'intento di farla deragliare, come il caso del passaporto di Veron che tolse il sorriso perfino a quell'uomo buono (oltre che campione) che era Felice Pulici, l'avvocato di allora. Trattamento mai riservato a identiche colpe o cadute di stile di altre tifoserie. Livore che partiva immancabilmente dalla prima pagina, da un risalto spropositato mai pari a quello dei successi in campo, dei sette trofei in bacheca. La Lazio di allora costrinse però a scrivere bene di lei. E che dolce rivincita quando il direttore mi chiamava alle dieci di sera per farmi scrivere al volo quaranta righe per la "prima" in onore di quella squadra che volava e che alla fine, ma proprio alla fine, andava celebrata per non perdere del tutto di credibilità giornalistica. Ho pagato il mio scotto a quelle discussioni quando, il giorno dopo lo scudetto del 2000, in prima pagina il mio articolo non c'era: ce n'erano in compenso sulla Lazio altri cinque, di chi era salito in tutta fretta sul carro per quella pagina da collezione. Lo scotto che ho dovuto pagare strada facendo alla libertà di opinione. Ma questa è un'altra storia, troppo personale per interessare.

Torniamo a noi. Il risultato di questa operazione, di questa scientifica macchina del fango? E' che una grande maggioranza dei tifosi della Lazio non sopporta più alcun tipo di critica, di rilievo: verso la società, verso l'allenatore, verso la squadra. Difendere la Lazio è diventata una sorta di parola d'ordine che dovrebbe unire ma che invece puntualmente divide. Perché in questa foga difensiva si è finito per lasciare campo libero a qualsiasi obbrobrio tecnico, a qualsiasi licenza di mercato, si è fornito di fatto a Lotito e a Tare, plenipotenziari di quello che è sempre stato invece un libero consesso, di fare e disfare la squadra che vogliono, di non farla crescere, di non fare mercato, di coprirsi a malapena con l'ombrello Sarri. Un salvacondotto che mai fu concesso ad alcun presidente, neanche allo stesso Cragnotti, criticato eccome, a volte massacrato, per veri o presunti errori. Siamo al paradosso che se in venti reclamano il diritto-dovere di critica, che è poi pur sempre un atto d'amore, finiranno nel mirino di altri ottanta che gli daranno dei "gufi", dei "traditori", dei "romanisti" perché la Lazio va difesa: "tutelazio" mi pare che si usi dire...

E' così - a causa della divisione che nasce dall'assurda pretesa di unire per forza, a causa della violenza verbale che travalica ormai ogni confronto civile, a causa del logoramento di un assedio perenne - che poco per volta il laziale ha perso il suo spirito "pasquino", massì quello che coglieva ogni magagna, che non perdonava nessuno, neanche il papà Lenzini del primo scudetto (a cui bonariamente si gridava in rima "ridacce li quattrini"), neanche i campioni quando scadevano di forma o erano in giornata indolente. Quel laziale, bastian contrario per Dna, credo purtroppo che non esista più. Che possa ormai digerire campionati storti, umiliazioni forti, inutili attese di mercato, parametri zero in abbondanza, giocatori che in serie A non potrebbero giocare. Senza neanche mandare giù tutto questo con un Cynar, come consigliava "Tutto il calcio" di una volta.

"E' stata la stampa, bellezza! E non possiamo farci niente. Niente!"

 

P.S. Conosco già i commenti istituzionali o pretoriani che seguiranno a questo sfogo. Vado ad elencarli:
1) La Lazio con Lotito ha vinto più trofei di tutti in Italia dopo la Juventus; 2) Lotito non fa mercato perché la gente non va allo stadio; 3) Lotito vince gli scudetti del bilancio; 4) Tare ha portato Klose, Immobile e Milinkovic; 5) Con Lotito non rischieremmo mai di tornare in B; 6) La Lazio non si discute, si ama (in caso mancassero altri argomenti).
Non c'entrano niente col senso del mio intervento che contiene solo un invito: non lasciatevi fregare. Né dalla stampa, certo. Né da nessun altro, però.



 

Commenti

  1. Bello! Acuto e profondo come al solito, Vince'. (E anche se non sono totalmente d'accordo in alcuni punti, ma "That's the press, baby...")

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    1. So benissimo in cosa non concordi, eppure un giorno ti ricrederai...ahahaha Grazie degli apprezzamenti

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